La Resistenza di Cali

Fonte della foto: Tembolres ONG

“Guardia, forza! per la mia razza, per la mia terra!”, è uno dei nuovi slogan simbolo della rivolta sociale riesplosa in Colombia: l’inno della Guardia Indigena del Cauca viene cantato non piú solo a Cali, ma nel resto del paese e a Bogotà. La Guardia Indigena del Cauca (la Minga del CRIC) è stata al centro delle nuove tensioni con la polizia e con alcuni settori della cittadinanza, dato il suo supporto allo sciopero nazionale. Per comprendere il ruolo della Guardia Indigena in questo frangente, è necessario far riferimento alle aspirazioni delle popolazioni autoctone ed il processo storico dal quale provengono. Oltre alle richieste di autonomia e recupero dei territori ancestrali – eredità coloniale ancora da sanare – le comunità indigene convergono con quelle contadine nella richiesta di maggiore supporto e sicurezza nel contesto rurale. È infatti nel mondo rurale che il conflitto è stato piú acceso, ed è in quel mondo dove le zone grigie sono state piú evidenti, a causa di storici accordi tra esercito e gruppi paramilitari nella lotta contro la guerriglia, per il quale la Fiscalía sta investigando circa 3.000 casi di omicidio nel quale è implicato l’esercito. Si puó dunque comprendere la difficoltà delle comunità rurali nell’accettare la presenza militare come istituzione neutrale nel conflitto, nonostante negli ultimi anni si siano compiuti dei passi in avanti, soprattutto nell’ambito degli accordi del processo di pace.

La Minga, si è unita allo sciopero generale indetto a Cali a seguito delle prime manifestazioni e dei primi scontri: “ciò che ci ha portato qua è stato l’omicidio dei giovani nei vari punti della manifestazione, siamo venuti con il compito di diminuire queste morti, tramite la mediazione, per esempio”, racconta una rappresentante. Le chivas (i colorati bus utilizzati dagli indigeni negli spostamenti) hanno percorso lunghi tragitti per arrivare ad unirsi ai manifestanti, entrano a Cali il primo di maggio, e vengono accolti con grandi aspettative, soprattutto nelle prime linee. Le accuse di violenze causate da infiltrati della polizia erano già state ampiamente documentate dai manifestanti, tramite video poi condivisi in rete, e confermate dalla Guardia Indigena, una volta affiancate le manifestazioni: in varie occasioni i membri del CRIC riescono infatti a bloccare le macchine dalle quali vengono sparati i colpi ai manifestanti e a catturare gli infiltrati (1, 2). L’ingerenza della Guardia Indigena nella manifestazione prosegue anche con il controllo dell’accesso alla città, imposto – secondo loro – per garantire la sicurezza dei manifestanti e impedire la circolazione di armi. I posti di blocco indigeni hanno però creato un forte malumore, sia per gli ulteriori disagi causati nella gestione delle emergenze, che per l’insofferenza dei cittadini di alcuni dei quartieri piú ricchi della città, che già vedevano di cattivo occhio la manifestazione. I quartieri ricchi di Cali sono lo zoccolo duro del partito del governo, principalmente abitati da bianchi, vivono in conjuntos privati nelle zone esclusive della città. Il sindaco di Cali chiede alla Guardia Indigena di eliminare i blocchi, per riconciliare gli animi, ma la presenza della comunità indigena a ridosso delle manifestazioni e il blocco delle vie, soprattutto nelle zone limitrofe ai quartieri alti, innesca presto la miccia per nuovi scontri. Il 9 maggio i residenti impediscono ai rinforzi della Guardia Indigena di entrare in città (1, 2), e successivamente si riportano i primi scontri. Alcuni membri della comunità indigena riferiscono di “essere stati affiancati da alcune Toyota, senza targa, di essere stati insultati ed accusati di essere ex-guerriglieri”, ed intimidati ad andarsene. Quando arrivano ulteriori rinforzi dalla Guardia Indigena scoppiano gli scontri, la comitiva viene attaccata con armi da fuoco da civili e forze dell’ordine (1, 2, 3, 4, 5, 6). Sono spaventose le immagini circolate in rete, dove si possono vedere civili armati sparare sulla rappresentanza indigena, ma ancor più sconvolgente è stata la reazione della Guardia Indigena, che nei video si vede inseguire gli assalitori, nonostante il fuoco avverso, e perseguirli fino ai loro residence (1, 2). Il conjunto dove si rifugiano gli assalitori viene attaccato, alcune macchine vengono distrutte, ma sono gli stessi residenti ad ammettere di essere stati attaccati dopo che uno di loro ha fatto fuoco sulla comitiva indigena. La Guardia Indigena denuncia l’attacco in una conferenza stampa, chiedendo l’intervento della comunità internazionale, e vengono messi in rete lunghi video, tramite i quali si ricostruiscono gli eventi e si rende manifesto il comune senso di conflitto con le classi alte (“los de estrato 6”), dalle quali affermano di essere stati attaccati. Le classi sociali in Colombia sono spesso identificate per luogo di residenza, in una classifica per la presenza di servizi che va dall’estrato 0-1 (pressoché assenti) fino all’estrato 6, maggiormente servito e luogo di ville e residence di lusso. Il risultato della giornata è di 8 membri feriti con arma da fuoco per la Guardia indigena e varie vittime civili (1, 2).

Il 10 maggio l’esercito blocca l’entrata della Guardia Indigena a Cali, che nel frattempo distribuisce alimenti  nei quartieri della resistenza (1, 2, 3), ma i disordini continuano: durante il giorno sono vari i video messi in rete di scontri a fuoco (1, 2, 3, 4), e testimonianze di violenze in tutti i quartieri (1, 2, 3), a Siloe (1, 2), Calipso (1, 2), Melendez, Ancla, Portada al Mar, mentre durante la notte le rappresaglie contro i manifestanti si fanno impressionanti, lo scenario sembra di guerra (1, 2, 3), a conferma della profondità del conflitto sociale. Le prime aperture del governo al dialogo spingono i leader sociali a pubblicare, sempre via social, le proprie rivendicazioni per poter iniziare la mediazione (1, 2, 3), tra le quali il rilascio dei manifestanti arrestati e la caduta delle accuse alla prima linea (che possono arrivare al terrorismo), e la verifica e condanna degli omicidi e delle violenze perpetrate dalla polizia durante lo sciopero nazionale, mentre le richieste programmatiche sono l’istituzione di un reddito base per le famiglie più povere (almeno per quest’anno di crisi pandemica), affrontare una riforma tributaria e delle pensioni equa, rafforzare il sistema sanitario, nonché ridurre i vitalizi e gli stipendi dei parlamentari.

Gli scontri di Cali alimentano le motivazioni dei manifestanti nel resto del paese. A Bogotá continuano le manifestazioni dei trasportatori, ma già dalle prime ore del mattino si registrano tensioni con le forze dell’ordine (1, 2, 3), specie a Portal Americas, dove gli scontri sono proseguiti durante la notte (1, 2, 3). Nelle immediate vicinanze di Bogotá, a Suba, i cortei ricordano la resistenza della Guardia Indigena, gli agricoltori del Huila bloccano le strade a Campoalegre, si marcia a Bucaramanga, si segnalano scontri a Cartago, dove viene bloccato il ponte dai manifestanti (1, 2, 3), e le università di varie città appoggiano gli studenti, con supporto legale e alloggio per la notte. Preoccupazione per le possibili ritorsioni a Soacha, dove vengono denunciate minacce da parte del gruppo paramilitare Aguilas Negras, e per la denuncia di alcuni gruppi whatsapp, nel quale si organizzano le rappresaglie contro i manifestanti a Cali e la Guardia Indigena, con un supposto appoggio da parte della polizia, la quale, viene riferito, garantirebbe loro protezione.

Il primo incontro tra i rappresentanti del Paro Nacional con il presidente Duque sembra più investigativo che di mediazione, l’accordo è lontano e  l’11 maggio le manifestazioni non cessano, a Bogotá, Bucaramanga, Granada, Putumayo, Santa Marta si registrano manifestazioni pacifiche, il CRIC si raduna in assemblea all’università del Valle, per decidere sulle richieste del governo di lasciare Cali. Le notizie di salute su Lucas Villa, uno degli eroi pacifici della protesta, volgono al peggio e ne viene dichiarata la morte cerebrale, il presidente Duque annuncia pubblicamente il cordoglio e l’impegno del governo nel trovare i responsabili.

Il 12 maggio la Guardia indigena decide di lasciare Cali, viene salutata da applausi da parte dei manifestanti (1, 2), e lungo il percorso di ritorno, mentre in città, nei quartieri più vicini al governo, si applaude la polizia. La resistenza di Cali ha in realtà acceso le motivazioni nel resto delle comunità colombiane, che scendono in massa a manifestare: in tutta Bogotà (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8), a Cali, Sincelejo, Medellìn, Quibdó, Villavicencio, Pasto, Fusagasugá, El Campin, Ocaña, Pereira, si susseguono le manifestazioni, a Barranquilla gli Ultras hanno tentato di bloccare la partita del Junior, la squadra locale, in segno di appoggio allo sciopero nazionale, arrivando ad un aspro confronto con le forze dell’ordine (1, 2, 3, 4). Secondo l’ONG Temblores, all’11 maggio, si sono registrati 40 omicidi, 313 casi di violenza e 1.003 detenzioni arbitrarie da parte della polizia.

La popolazione in Colombia è altamente polarizzata in questo momento, lo scontro sociale è manifesto nel linguaggio e nelle visioni contrapposte sulle cause del malessere sociale. I manifestanti accusano il governo di affossare il processo di pace, tassare le classi povere e medie, attuare delle politiche sociali dannose (come l’utilizzo del glifosato contro le piantagioni di coca) e smantellare la sanità, mentre il partito al potere accusa i manifestanti di atti vandalici e di essere guidati da frange della guerriglia, e invoca misure anti terrorismo. Sono due le accuse che principalmente vengono mosse ai manifestanti dal partito al governo: la prima è quella di terrorismo, secondo la quale i manifestanti sarebbero al soldo di potenze straniere e della guerriglia, tesi in realtà poco plausibile, data la nutrita presenza di diversi settori della popolazione, le condizioni economiche disastrose del Venezuela e la scarsa rilevanza a livello nazionale della dissidenza delle FARC e dell’ELN; la seconda è quella di vandalismo, a seguito dei saccheggi avvenuti durante lo sciopero nazionale. A onor del vero, i saccheggi in Colombia sono comuni, e non possono essere ricondotti alla semplice protesta politica, bensì a qualsiasi evento che possa generare l’opportunità di un facile introito, o di un supporto anche alimentare in condizioni di disagio estremo. È il caso dei frequenti blackout, che possono generare degli attacchi ai negozi, ma anche degli incidenti, come quello avvenuto l’anno scorso a Tasajera, dove un’autocisterna si è ribaltata, è stata presa d’assalto dalla popolazione, ed è infine esplosa a causa di un contatto con la batteria, con un saldo finale di 45 morti e 19 feriti.

Inoltre, la copertura mediatica al Paro Nacional da parte dei più importanti canali televisivi e organi di informazione colombiani ha suscitato forti critiche da parte dei manifestanti, dovuti alla mancanza di dettagli sulle motivazioni e le cause degli scontri. In questo senso, si puó citare la diatriba sorta sull’intervento della Guardia Indigena, accusata di aver assaltato il residence di Cali per attaccare i sostenitori del governo. la Minga si difende dalle accuse: “ci sono persone che seminano dubbi sul ruolo della guardia indigena, per screditarla. La vicepresidente ci accusa di avere capitali di dubbia provenienza per poter sostenere lo sforzo di partecipazione allo sciopero nazionale (…), lei rappresenta solo una figura decorativa per la nazione, non da niente in cambio e viene pagata con uno stipendio abbastanza oneroso (…) cosa rappresenta la vicepresidente? Solo un costo (…). Non coltivi zizzania e dubbi, non si metta a questionare un popolo che si è alzato per esigere dei diritti [inattuati] per colpa di questo malgoverno”.

Duque, in una intervista alla CNN, spiega che, sebbene la maggior parte dei manifestanti fosse pacifica, alcune frange violente hanno legittimato l’uso della forza, espressamente prevista dai protocolli di sicurezza in caso di terrorismo, e risultata necessaria per proteggere i beni privati dai saccheggi. Incalzato sulle responsabilità degli oltre 40 morti nei giorni dello sciopero, assicura che si stanno compiendo le dovute indagini da parte della Fiscalía, che nel frattempo conferma l’arresto di 2 poliziotti per l’omicidio di Santiago Andres Murillo.

Precedenti report sul Paro Nacional 2021:

Colombia, adesso

Aggiornamento sul Paro Nacional – 8 maggio 2021

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