Popoli Indigeni



Contesto territoriale e attivitá


La missione della UPD si focalizza nella reintegrazione culturale delle comunità indigene e il recupero di territorio di rilevanza sacra e culturale. L’UPD riconosce l’importanza della amministrazione indigena dei propri territori e della necessità di sviluppare strategie condivise per raggiungere gli obiettivi delle comunità in contesti  sociali e territoriali complessi.


L’attuale popolazione colombiana riflette fedelmente la sua storia passata: i complotti culturali, le conquiste e le atrocità compiute sono sotto gli occhi di qualsiasi osservatore attento che attraversa il paese. La molteplicità di tratti somatici, lingue e dialetti, tradizioni e costumi compongono la storia di questo paese. Tuttavia solo negli ultimi tempi lo Stato colombiano “ha riconosciuto e protetto la diversità etnica e culturale della nazione colombiana” (articolo 7 della Costituzione del 1991).

Nel gruppo etnico indigeno sono identificate 1.392.623 persone, che rappresentano il 3,4% della popolazione totale. In alcuni dei dipartimenti la popolazione indigena rappresenta percentuali elevate rispetto alla popolazione totale, come nel caso del Dipartimento della Guajira (45%), Cauca (21,5%) e Nariño (10,8%) (Dane).

Nel corso dei secoli passati, gli appartenenti ai popoli indigeni nel paese furono estremamente emarginati ed esclusi dai contesti politici, economici e sociali (Jackson, 2011). Tuttavia, fino ad oggi è assolutamente impossibile considerare la popolazione indigena come realtà statica e marginale; è molto importante considerarla strettamente correlata a quella che i popoli indigeni chiamano “Colombia occidentale”. La loro consapevolezza e partecipazione attiva negli affari dello Stato si è sviluppata nel corso del ventesimo secolo, crescendo in modo esponenziale negli ultimi decenni.

La realtà degli ultimi decenni mostra un universo di guerre e conflitti che le comunità indigene hanno dovuto affrontare. Infatti, insieme alle popolazioni contadine e afro-colombiane, sono stati gli attori sociali più vulnerabili coinvolti nei conflitti. Nonostante le buone intenzioni della Costituzione del 1991, che ha rappresentato per le comunità indigene un fattore di ottimismo e positività, negli ultimi anni sono continuate le violazioni dei diritti umani, saccheggi e spoliazioni territoriali e delle risorse (Villa W. e Houghton J., 2005 pp.20).

Il 30% del territorio colombiano ricade sotto giurisdizione collettiva con sistemi di amministrazione e di governo propri. Sono territori di grande importanza, per l’estensione e la varietà degli ecosistemi che coprono. Il 53% del territorio nazionale è coperto da foreste e più del 50% sono sotto la gestione collettiva: riserve indigene (45,4%), territori collettivi di comunità di origine africana (7,3%) e contadina (1,9%) .

Negli ultimi decenni, infatti, le regioni occupate da gruppi etnici sono state considerate zone strategiche e sotto attacco soprattutto dall’economia pubblica e privata, nazionale e internazionale, in quanto questi territori conservano la maggior parte delle risorse naturali della paese.

“La mappa dei territori indigeni del paese coincide con quella dei grandi progetti infrastrutturali, grazie alla sua biodiversità e alla ricchezza della terra, nonché al territorio di grande attrattiva per la coltivazione e soggetto ai conflitti armati” (H. Arcila). La ricchezza di risorse (minerali, olio e legna da ardere), le colture illegali e la lotta armata sono infatti le principali cause dei rifugiati interni dei popoli indigeni. L’UNHCR ha definito la migrazione dei rifugiati come un fenomeno che “pone i soggetti in un livello di vulnerabilità elevato”(ACNUR).

A differenza dei rifugiati, gli sfollati interni non attraversano le frontiere internazionali in cerca di sicurezza e protezione, ma rimangono nel proprio paese. In determinate circostanze possono essere costretti a fuggire per le stesse ragioni dei rifugiati (conflitti armati, violenza diffusa, violazioni dei diritti umani) con la differenza che le persone sfollate interne rimangono sotto la protezione del governo (UNHCR).

Secondo il Centro di Monitoraggio Internazionale sui Migranti, La Colombia detiene la maggioranza degli sfollati del continente latinoamericano: il numero è cresciuto notevolmente nell’ultimo decennio, raggiungendo i 5,7 milioni di persone (Global Report 2014: sfollati interni per violenze e conflitti, 2014). La complessità degli eventi politici che hanno rappresentato lo scenario colombiano negli ultimi decenni è caratterizzata dalla presenza di gruppi armati, paramilitari e FARC che combattono per controllare le zone strategiche.

Questi territori hanno inoltre visto aumentare le coltivazioni illecite di piante di coca e la costruzione di laboratori per la produzione di cocaina da parte di trafficanti di droga nelle zone confinanti le comunità indigene. In un primo momento, e in alcuni casi anche oggi, il controllo territoriale dei narcos colombiani non ha imposto il lavoro delle comunitá indigene nella produzione di cocaina, ma le loro conoscenze sono state utilizzate per la gestione dei territori e per il commercio e il trasporto nei paesi limitrofi.

I territori della Riserva Kogui-Malayo nella Sierra Nevada di Santa Marta (SNSM) furono oggetto di urbanizzazioni massive da parte dei coloni provenienti dall’interno del paese, generando situazioni di conflitto tra comunità contadine e indigene. Durante la seconda metà del XX secolo e fino agli anni ’70 si intensificó l’arrivo di nuovi coloni: il taglio indiscriminato di legna e gli incendi boschivi furono la norma durante 4 decenni consecutivi, con l’intenzione di “civilizzare” la foresta per ottenere sostentamento, creare piantagioni di marijuana, coca, o vendere la legna. Attualmente si è aggiunto il rischio della titolazione delle terre per mega-progetti agroindustriali, estrattivi, di sfruttamento di giacimenti di idrocarburi, energetici, turistici e farmaceutici, i quali produrrebbero gravi pregiudizi alle prerogative culturali dei popoli indigeni e allo stesso equilibrio ambientale della SNSM.

La situazione di sottosviluppo economico nel territorio ha avuto ricadute negative su tutte le classi di popolazione, peggiorando le relazioni tra comunitá contadine ed indigene, ed ostacolando la possibilitá di dialogo e collaborazione necessarie per la pacifica coesistenza in questi territori.

Il contesto di bassa educazione e formazione professionale delle comunitá indigene e contadine, impedisce lo sfruttamento delle nuove opportunitá economiche e lavorative alle popolazioni locali, estromettendo di fatto queste comunitá dalla amministrazione dei propri territori e impedendo la tutela dei propri diritti sociali e culturali. Tuttacia la crescita del settore turistico con destino la SNSM potrebbe costituire una risorsa per queste comunitá, e allo stesso tempo una minaccia ambientale e culturale per le popolazioni indigene.

Per quanto concerne il conflitto armato, le violazioni dei diritti territoriali verificatisi nella SNSM a partire dagli anni ’80 possono riassumersi nei seguenti punti:

1) Incursioni e presenza di gruppi armati illegali nei territori indigeni, a volte seguiti da forte militarizzazione del territori da parte della forza pubblica;

2) Scontri armati tra gruppi illegali nei territori indigeni;

3) Occupazione dei luoghi sacri;

4) Installazione di basi militari nei territori indigeni;

5) Saccheggi da parte di attori con interessi economici e di sfruttamento delle risorse naturali nei territori di proprietà indigena;

6) Lo sviluppo di attivitá economiche lecite ed illecite;

7) Fumigazione indiscriminata delle coltivazioni illegali, distruggendo contemporaneamente le coltivazioni fondamentali alla sussistenza delle comunitá.

Per quanto concerne le violazioni dei diritti umani nei confronti delle comunitá indigene, si possono riassumere i seguenti punti:

1) Minacce individuali e alle intere comunitá;

2) Estorsioni;

3) Omicidi dei capi e rappresentanti delle comunitá indigene;

4) Reclutamento forzato di giovani indigeni nei gruppi armati illegali;

5) Migrazioni forzate, individuali e collettive;

6) Omicidi di intere famiglie indigene.

Contesto

Il popolo indigeno Wiwa rappresenta una della quattro etnie presenti nella SNSM, nel nord della Colombia. In questa zona si trovano 27 comunitá Wiwa ubicate nella Riserva Kogui- Malayo- Arhuaco (territorio di 383.877 ettari), mentre piú al nord le comunitá arrivano fino al dipartimento della Guajira e all’interno del paese fino al dipartimento del César, in totale circa 14.000 persone. Secondo le informazioni fornite dalla Delegación Wiwa della Riserva Kogui – Malayo – Arhuaco, il popolo Wiwa residente nella SNSM è costituito da 2.500 persone circa, mentre il Ministero della cultura colombiano riferisce il fatto che “il grosso della popolazione corrisponde a bambini, giovani e giovani adulti (il 79% ha meno di 30 anni), mentre gli adulti sopra i 60 anni sono un numero limitato di persone (2%)”. I Wiwa si trovano nella fascua sud-oriental e al nord della SNSM, nella Riserva Kogui – Malayo – Arhuaco in territori riconosciuti dalla costituzione nazionale come proprietá collettiva. Ogni comunitá è rappresentata dai Mamo e Saga, incaricati di organizzare e dirigere la comunitá per manterenere l’ordine territoriale, spirituale e personale. Tramite queste autoritá si stabiliscono le relazioni con gli altri tre popoli indigeni della SNSM, Kogui, Arhuaco e Kankuamo, in modo da amministrare il territorio congiuntamente.

L’economia del popolo Wiwa è prevalentemente agricola e ha subito continui blocchi al commercio, impedendo lo scambio delle eccedenze e l’acquisizione dei prodotti basici necessari alla sussistenza della comunitá.

La comunitá contadina si distribuisce intorno alla riserva indigena, nella parte bassa della SNSM, ed è costituita aprossimativamente da 3.000 persone provenienti principalmente dall’interno del paese (Santander, Boyacá, Tolima y Antioquia). La comunitá è agrocentrica e soffre di instabilitá lavorativa, povertá e bassa scolarizzazione. Parte della comunitá è costituita da “desplazados” (rifugiati interni) che si sono stabiliti nel territorio a causa delle violenze e minacce dei gruppi armati illegali.

La popolazione indigena Wiwa della SNSM ha sofferto negli ultimi 50 anni di un crescente sradicamento culturale, isolamento causato dalla distruzione o assenza della vie di comunicazione e delle infrastrutture, migrazioni forzate, crisi alimentarie. Le misure implementate dai programmi di assistenza alimentare previste dal governo non risolsero la situazione, bensí crearono una situazione di dipendenza alimentare e culturale. Tuttavia negli ultimi anni, grazie agli sforzi dell’intera comunitá, il popolo Wiwa ha iniziato un processo di recupero delle proprie tradizioni, lingua, artigianato, cultura e tradizioni immateriali.

Parte della comunitá contadina é composta da rifugiati. L povertá e carenza di formazione professionale ostacola le possibilitá di miglioramento della situazione economica, impedendo di partecipare alle opportunitá lavorative sorte grazie alla crescita economica nazionale ed inficiando il percorso verso l’equitá sociale. Le condizioni delle altre comunitá indigene riflettono la stessa situazione.

Le necessitá del popolo Wiwa della SNSM si possono riassumere nelle seguenti prerogative: autonomia nella gestione del territorio e generazione di nuove opportunitá lavorative, garantendo la sostenibilitá delle comunitá, la propria sicurezza e dei propri stili di vita tradizionali.

Attivitá

La UPD inizió le attivitá di appoggio alla comunitá nel 2012 – prima della stessa istituzionalizzazione dell’impresa – in collaborazione con la Facoltá di Antropologia dell’ Universidad del Magdalena, con Casa Indígena de Santa Marta e la comunitá Wiwa rappresentata dal Mamo Ramon Gil.

L’obiettivo generale delle attivitá è il recupero delle tradizioni ancestrali e del territorio originario del popolo Wiwa della SNSM. Per portare a termine l’obiettivo, la prima fase delle attivitá si è concentrata in alcuni aspetti specifici:

1. Elaborazione della caratterizzazione socio-economica del territorio per conoscere i problemi specifici e le necessitá del popolo Wiwa della SNSM;

2. Elaborazione di strategie condivise con la comunitá per il recupero culturale e la gestione del territorio ancestrale;

3. Elaborazione topografica del territorio per facilitare il riconoscimento dei luoghi ancestrali Wiwa nella SNSM;

4. Organizzazione di eventi e mostre per favorire la sensibilizzazione sui temi indigeni nalla SNSM.

1. Caratterizzazione socio-economica e territoriale 

Durante la prima fase le attivitá si riressero verso la conoscenza della comunitá e del territorio, per poter successivamente analizzare i problemi e le strategie insieme ai beneficiari.

In questo fase iniziarono gli studi antropologici e e socio-economici che permisero di stabilire il contesro nel quale si sarebbero eseguite le azioni di appoggio. In questo senso si puó affermare che le aree di ampliamento della Riserva Kogui-Malayo-Arhuaco furono oggetto di massive urbanizzazioni da aprte dei coloni provenienti dall’interno del paese, generando situazioni di conflitto tra comunitá contadine e indigene. Attualmente si sono sommati i rischi derivati dalla titolazione delle terre a mega-progetti agroindustriali, estrattivi, di idrocarburi, energetici, turistici e farmaceutici, che potrebbero produrre gravi pregiudizi alle prerogative culturali delle popolazioni indigene a all’equilibrio ambientale.

La situazione di sottosviluppo economico del territorio influisce negativamente in tutte le classi della popolazione, peggiorando le relazioni tra comunitá contadine ed indigene e ostacolando le possibilitá di dialogo e collaborazione necessarie alla pacifica coabitazione di questi luoghi.

Il contesto di bassa educazione e formazione professionale delle comunitá indigene e contadine, impedisce lo sfruttamento delle nuove opportunitá economiche e lavorative alle popolazioni locali, estromettendo di fatto queste comunitá dalla amministrazione dei propri territori e impedendo la tutela dei propri diritti sociali e culturali. Tuttacia la crescita del settore turistico con destino la SNSM potrebbe costituire una risorsa per queste comunitá, e allo stesso tempo una minaccia ambientale e culturale per le popolazioni indigene.

2. Elaborazione delle strategie

Durante la seconda fase, varie riunioni e contatti con le autoriá Wiwa hanno permesso stabilire le prioritá della comunitá ed i termini di collaborazione con la UPD e le altre istituzioni coinvolte. In questo senso le autoritá Wiwa indicarono l’obiettivo prioritario del recupero del territorio ancestrale, con prioritá verso le zone adiacenti ai propri insediamenti, specialmente quelle riconosciute di elevata importanza sacra e culturale.

Per ottenere l’acquisizione dei territori, si identificarono 3 possibili soluzioni:

1. Richiesta di applicazione della Ley de Víctimas y Restitución de Tierras per i territori dove la comunitá Wiwa ha sofferto spoliazione delle terre durante il conflitto armato;

2. Creazione di strategie per la generazione di ingressi economici tali da permettere l’acquisto dei territori ancestrali: identificazione di strategie di turismo comunitario sostenibile in grado di garantire entrate economiche nel rispetto delle prerogative culturali e di rispetto ambientale del territorio coinvolto;

3. Elaborazione di proposte progettuali da presentare ai fondi internazionali destinati alla reintegrzione culturale e territoriale delle comunitá indigene.

Rispetto al primo punto, l’entitá incaricata della restituzione delle terre è l’Unidad de Restitución Tierras, facente capo al Ministerio de Agricultura y Desarrollo Rural. Il processo di restituzione prevede 3 fasi: durante la prima fase, che puó durare massimo 4 mesi, si recuperano i dati e le prove rispetto alle spoliazioni territoriali violente durante gli anni del conflitto armato; in una seconda fase si elabora il processo giudiziale per la compensazione integrale delle vittime; infine si costituisce il processo giudiziale e si definiscono le ragioni della compensazione.

Il processo di restituzione terre fino ad ora non ha generato risultati positivi per la comunitá Wiwa, dovuto principalmente a 2 problemi:

1. I territori che la comunitá Wiwa perdette per spoliazione violente durante il conflitto armato sono limitati, per il fatto che la stessa comunità er migrata anteriormente (durante il periodo coloniale) e in quel periodo stava ritornando verso le proprie terre d’origine;

2. L’elevato numero di casi di spoliazione violente di terre e le limitate risorse professionali dello stato non hanno permesso ancora l’inizio degli studi per la caratterizzazione del territorio della comunitá Wiwa.

La UPD ha proceduto quindi per suo conto alla caratterizzzione della comunitá e ha reso disponibili gli studi perchè l’Unidad Restitución Tierras possa piú agevolmente elaborare i report informativi.

Rispetto al secondo punto, insieme alla Facoltá di Antropologia dell’ Universidad del Magdalena e la comunitá Wiwa, si stabilirono le linee direttrici per lo sviluppo delle strategie condivise di turismo sostenibile.

1: Creare nuove opportunitá occupative e di inserimento lavorativo per le popolazioni indigene e le comunitá contadine, garantendo un approccio di genere in tutte ler fasi di elaborazione, organizzazione e gestione del progetto;

2: Promuovere la conoscenza dei meccanismi e la formazione professionale nel settore turistico alla popolazioni indigene e alle comunitá contadine;

3: Coinvolgere gli attori locali favorendo la collaborazione dei differenti settori della societá civile del dipartimento del Magdalena per valorizzare le risorse ambientali, il patrimonio storico e culturale secondo un approccio sostenibile;

4: Implementare nuove forme di utilizzo sostenibile del turismo ambientale che favorisca allo stesso tempo la sua conservazione e salvaguardia;

5: Lo sviluppo di processi di trasmissione e replicabilitá delle buone pratiche tramite laboratori di partecipazione civica;

6: Supportare le azioni di recupero della identitá culturale del popolo Wiwa e favorire il riconoscimento della cultura indigena fuori dal suo territorio.

Finalmente, rispetto al terzo punto, la UPD ha proceduto alla elaborazione di un report sulle possibilitá di fnanziamento per il recupero delle terre tramite fondi itnernazionali; gli studi eseguiti e le collaborazioni stabilitee costituiranno la base delle future proposte progettuali che verranno presentate.

3. Elaborazione topografica del territorio

La Delegaciòn Wiwa stabilí la necessitá di mappare i propri territori per poter identificare le prerogative territoriali nei processi di restituzione terre, ampliamento della riserva e pianificazione sostenibile delle attivitá che deciderá di intraprendere nei propri territori.

In questa attivitá la comunitá è supportata dalla Amazon Conservation Team, che collabora per stabilire i confini del territorio indigeno per l ampliamento della riserva, e dall’ UPD che sta mappando i siti di interesse cultuale e gli antichi sentieri, specialmente nella zona di Bonda nelle vicinanze della comunitá Wiwa dell’ Encanto – Gotshezhi.

Il lavoro topografico – che si sta sviluppando grazie alla collaborazione di volontari della Facoltá di Antropologia dell’Universidad del Magdalena e a studenti internaizonali nelle loro esperienze di lavoro di campo – ha permesso identificare lunghi percorsi tradizionali che connettono differenti zone della SNSM, per esempi da Minca fino a Valledupar.

4. Sensibilizazione delle tematiche indigene

Nel solco delle azioni di sensibilizzazione dell’UPD sono state organizzare attvitá in ambito naizonale ed internazionale.

A livello internazionale, il contesto della reintegrazione culturale della comunitá Wiwa fú presentata all’Universitá de Cagliari il 7 giugno 2016 durante un seminario sulle esperienze di cooperazione internazionale dell’UPD. Durante l’evento, il direttore Matteo Bellinzas spiegó il contesto del post-conflitto e le attivitá di sviluppo mentre la partecipazione di Alexandra D’Angelo in qualitá di antropologa dell’UPD aiutó la comprensione delle prerogative indigene e la gestione culturale e del territorio ancestrale.

Il lavoro di campo per la caratterizzazione della comunitá Wiwa fú oggetto di una esposizione fotografica compiuta da Alexandra D’Angelo, esposta in Lombardia e Sardegna (Italia), contribuendo alla promozione dei temi indigeni all’estero.

La Resistenza di Cali

Publicado en 14 maggio 2021 por Matteo BellinzasDerechos Humanos

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Aggiornamento sul Paro Nacional – 8 maggio 2021

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Colombia, adesso

Publicado en 5 maggio 2021 por Matteo BellinzasDerechos Humanos

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Comunidades indígenas presentes en la Región Caribe de Colombia


Departamentos del Atlantico, Bolivar, La Guajira, Magdalena


  1. Aspectos generales

La comunidad indígena Arhuaca habita la vertiente occidental y suroriental de la Sierra Nevada de Santa Marta (junto con los pueblos Kogui, Kankuamo y Wiwa), y viven de la agricultura y la ganadería. Actualmente se reconocen cuatro comunidades Arhuacas, que suman 22.134 personas (11.321 hombres y 10.813 mujeres), ubicadas dos en Santa Marta, otra en Valledupar y la última en Soledad, departamento del Atlántico. El resguardo principal de este pueblo está en Santa Marta desde 1983. Los Arhuacos que no habitan en dichos resguardos están asentados en fincas y haciendas de la región Caribe, en búsqueda de mejores tierras para la agricultura y cría de animales. Estos procesos han generado ciertos impactos en la comunidad, por ejemplo, el mestizaje al que se han enfrentado.

  1. Historia

Ante los procesos de colonización, el pueblo Arhuaco optó, con miras a preservar su espiritualidad como método de resistencia, por recluirse y encontrar refugio en las partes más altas de la Sierra Nevada. Sin embargo, el contacto con la arremetida española produjo ciertos cambios culturales significativos en sus formas de convivir y relacionarse entre sí. El ingreso de la orden religiosa de los Capuchinos en el siglo XVIII tuvo un fuerte impacto en su doctrina. Ahora bien, debido a procesos de reivindicación étnica, el pueblo Arhuaco logró expulsarla en 1980. Esta comunidad ha sido víctima, desde el Siglo XX, de actos violentos por parte de grupos armados ilegales, al igual que de la explotación de sus recursos naturales y el uso a la fuerza de sus corredores estratégicos. Todo ello ha implicado una fuerte desintegración cultural del pueblo, manifestada en el debilitamiento de sus prácticas culturales y el detrimento de la espiritualidad. Sin embargo, la constante lucha por la protección y reivindicación de la Sierra Nevada ha permitido que se adelante una relación de cooperación con los otros pueblos indígenas con quienes comparte el territorio, facilitando la permanencia en sus tierras sagradas.

  1. Riesgos de protección

Después de sus vecinos los Kankuamos, la comunidad Arhuaca es el pueblo indígena más abatido por el conflicto armado colombiano. Entre el año 2003 y 2008, 12 miembros del grupo indígena fueron asesinados, 2 fueron desaparecidos, 2 fueron utilizados como escudo humano y 2 más sufrieron lesiones personales. Igualmente, 2,509 indígenas fueron víctimas del desplazamiento forzado en el mismo período, la mayoría proveniente de Valledupar (1,128 desplazados), Riohacha (664 indígenas), Pueblo Bello (319 personas) y Santa Marta (282 desplazados).

  1. Fortalezas

La comunidad ha adelantado procesos de fortalecimiento organizativo y cultural, hecho que les ha garantizado cierta seguridad y autonomía. Sin embargo, la presencia de distintos actores como las iglesias evangélicas, actores armados ilegales, entre otros, ha resquebrajado la unión de miembros del pueblo Arhuaco y han desestabilizado sus modos organizativos institucionales. De ahí, la importancia de hacer hincapié en la capacidad de asociación entre las comunidades indígenas con el objetivo de preservar lo más sagrado de su cultura, ya sea material, físico o espiritual.

  1. Aspectos generales

El pueblo Kankuamo, compuesto por 12.714 personas (6.182 hombres y 6.532 mujeres), junto con las comunidades indígenas Kogui, Arhuaco y Wiwa, habita en la Sierra Nevada de Santa Marta, en el Resguardo Indígena Kankuamo en la vertiente oriental de la Sierra, entre los ríos Badillo y Guatapurí, departamento del Cesar. Algunos indígenas kankuamos están asentados en el Resguardo de Valledupar.

  1. Historia

Previo a la época de colonización, el pueblo Kankuamo compartía el territorio, la cosmología y cultura con otras comunidades indígenas. No obstante, su ubicación geográfica fue un atractivo para las instituciones españolas, lo cual implicó relaciones de poder y culturales desiguales. Ello dio como resultado, desde el Siglo XIX, el debilitamiento de usos y costumbres (por ejemplo el vestido tradicional y su lengua casi extinta). De los pueblos indígenas existentes en la Sierra Nevada de Santa Marta, los Kankuamo son los únicos que no conservan su lengua ancestral (Kakachuka o Kakatutukua o Atanques), salvo algunos vocablos que alternan con el español. En el Siglo XX, se dio un quiebre entre la comunidad Kankuama cuando los indígenas de la parte más alta de la Sierra se adhirieron al Partido Liberal y a las iglesias protestantes. Por esa razón, la tierra kankuama no fue reconocida durante las décadas de los 70 y 80 como territorio indígena sino como un pueblo campesino. Sin embargo, en los años 90 iniciaron un proceso de reconstrucción étnica y territorial que les permitiese crear su resguardo. En el 2002, ad portas de obtener la autorización del Incora, ocurre la masacre de La Mina, que implicó la postergación del resguardo hasta el 2003. Su economía se basa en el cultivo individual (en las tierras bajas siembran plátano, banano y algunas frutas; en las tierras altas, papa y cebolla) y en la cría de animales (gallinas y cerdos) con fines comerciales, al igual que la venta de mochilas tejidas por las mujeres.

  1. Riesgos de protección

Entre 1995 y 2008, el pueblo Kankuamo fue víctima de la confrontación armada en el país, lo que dejó 190 indígenas asesinados y 400 familias desarraigadas de su territorio y forzadas a huir hacia centros urbanos y otras áreas de la Sierra. Esto produjo la desaparición parcial de comunidades como las de Rioseco y Murillo. El régimen del terror impuesto, la insuficiencia territorial y la implementación de medidas que impedían la reproducción material e inmaterial de su cultura y el afianzamiento de su autonomía y gobierno, alertó a la Corte Interamericana de Derechos Humanos para que adoptase medidas provisionales de protección en el 2004.

  1. Fortalezas

Se han llevado a cabo procesos de memoria y recuperación de las tradiciones con miras a fortalecer a la comunidad Kankuama, al igual que procesos de atención y retorno para la población desplazada. En el 2004 regresaron 46 familias (202 personas) a Río Seco y, en diciembre del 2006, 26 familias (143 personas) a Murillo. El retorno se completó con proyectos de seguridad alimentaria, mejoramiento de viviendas y de distritos de riego. Del mismo modo, de acuerdo con su Plan de Vida, la comunidad indígena Kankuama le apuesta a la revitalización de la cultura mediante la participación activa en proyectos, en colaboración con el Estado. El pueblo, al integrarse a la Onic, creó la OIK en 1993 con el primer Cabildo Gobernador obteniendo reconocimiento como indígenas en la Dirección de Etnias del Ministerio del Interior y Justicia.

  1. Aspectos generales

Habitan en la cuesta norte y sur de la Sierra Nevada de Santa Marta, esencialmente en Guatapurí, en lo correspondiente a Maruámake del resguardo Arhuaco de la Sierra, departamentos de La Guajira, Cesar y Magdalena, y tienen presencia en las zonas altas de los municipios de Santa Marta, Ciénaga, Aracataca y Fundación en el departamento de Magdalena, Pueblo Bello y Valledupar en Cesar y Riohacha, Dibulla y San Juan del Cesar en La Guajira. Esto no significa que no haya miembros del pueblo Kogui en otros territorios. Se estima que hay 9,111 personas. Los Kogui son la comunidad más tradicional y con menor contacto con el resto de sociedad que existe en la Sierra Nevada de Santa Marta. Viven del cultivo de papa, yuca, malanga, batata, maíz, fríjol, plátano y caña de azúcar (panela); cría de animales domésticos, pesca y caza (en escala pequeña).

  1. Historia

A pesar de que no hay registros específicos de la historia de los Kogui, la época de la conquista y evangelización implicó la aparición temprana del fenómeno del desplazamiento forzado hacia varios territorios de la Sierra, donde tuvieron que implementar métodos diversos de adaptación y alianzas para sobrevivir. Finalmente, el pueblo Kogui ha logrado mantenerse fiel a su cultura, a pesar de las constantes represiones y amenazas tanto de actores armados ilegales como del capitalismo occidental que intenta homogeneizarlos.

  1. Riesgos de protección

La presencia de cultivos ilícitos ha exacerbado la violencia en el territorio sagrado de los Kogui y demás comunidades indígenas con las que comparte la Sierra. Entre el año 2005 y 2007, a pesar de las fluctuaciones en la presencia de cultivos, el hecho de que estuviesen allí implicaba la presencia de grupos armados al margen de la ley luchando por obtener el control territorial y social. Ello ha ocasionado que se hagan constantes las acciones de hostigamiento, homicidios, masacres, secuestros, desplazamiento forzado, implantación de minas antipersonales, instalación de laboratorios de narcóticos, de campamentos subversivos (para el resguardo de los miembros de los grupos armados ilegales y secuestrados), caletas de armas, fosas comunes (especialmente en el 2006), entre otros actos que atentan contra la permanencia de los Kogui en el territorio y la preservación de su cultura. En el 2004 fue asesinado un miembro de la comunidad Kogui y 11 familias fueron expulsadas de sus asentamientos. En el 2005 fueron secuestrados dos indígenas y las organizaciones denunciaron la desaparición de un líder comunitario; en el 2006 murieron dos indígenas por minas antipersonal, y en el 2008 empezó el desplazamiento de familias enteras desde el corregimiento de Ciénaga por causa de hostigamientos y reclutamiento forzado.

  1. Aspectos generales

El pueblo Wiwa, compuesto por 13.627 personas (49,6% mujeres y 50,4% hombres), es una de las cuatro comunidades indígenas que habitan la Sierra Nevada de Santa Marta, junto con los Kogui, Kankuamo y Arhuaco, con quienes mantiene una relación interétnica fuerte de solidaridad. Se encuentra asentado en la vertiente suroriental y norte de la Sierra, específicamente en el Resguardo Kogui Malayo Arhuaco ubicado en la cuenca media-alta del río Ranchería y los cursos superiores de los ríos Badillo y Cesar. Otros miembros de esta comunidad se encuentran en la Serranía del Perijá, municipio de Becerril, en el departamento de Cesar, en el municipio de Dibulla, San Juan del Cesar, y Riohacha, La Guajira. La base de su economía es el cultivo de maíz, yuca, plátano, arracacha, guineo, entre otros.

  1. Historia

La historia de los Wiwa se ha caracterizado por largos periodos de violencia, trayendo como consecuencia la desintegración social y desplazamiento de su territorio. Por tanto, se han asentado en centros urbanos del Cesar y la Guajira, la mayoría de sus miembros son sobrevivientes de las masacres de El Limón, Córdoba (2002); Potrerito, Valle del Cauca (2003); Las Mercedes, Cesar (2003) y La Laguna, Magdalena (2003). La presencia del pueblo Wiwa en los centros urbanos del Cesar y la Guajira ha enriquecido culturalmente la zona. Han implementado medidas propias de reconstrucción social y material de su pueblo y autoridad política y religiosa. Ello se evidencia en su modo de vida regida según el principio espiritual de la existencia de la Ley de Origen, por lo cual mantienen una relación sensible con la tierra. Damana es su lengua nativa, pertenece a la rama lingüística Chibcha. Aunque no ha sido estudiado a profundidad por la antropología del país, el pueblo Wiwa posee un conocimiento cultural digno de reconocimiento.

  1. Riesgos de protección

La coyuntura actual del pueblo Wiwa comprende la resistencia a la presencia de grupos armados ilegales y a las multinacionales que, sin consulta previa, exploran su territorio para llevar a cabo proyectos que van en detrimento de su cultura y estabilidad territorial. Por tanto, y ante las amenazas y violencia contra el pueblo, piden al gobierno implementar medidas de protección tanto para sus líderes y lideresas como para la comunidad Wiwa en general. Según el Diagnóstico de Derecho Humanos, en el año 2001 fueron asesinados 7 indígenas de la comunidad, entre ellos el líder de la organización GonawinduaTayrona. En el 2002, el ataque de un grupo armado ilegal dejó 12 muertos, 150 personas desplazadas de la vereda El Limón (corregimiento Las Palmas, municipio de Riohacha) y un territorio saqueado e incendiado. Durante los años 2003 y 2008, el pueblo Wiwa fue víctima de 12 homicidios, en Becerril (Cesar) y San Juan del Cesar, el desplazamiento forzado de 4,058 indígenas (1,195 de San Juan del Cesar, 1,111 de Valledupar, 727 de Dibulla, 660 de Riohacha, 282 de Santa Marta y 83 de Becerril) debido a los incesantes enfrentamientos entre los grupos armados ilegales.

  1. Fortalezas

Frente a la violencia sufrida, la comunidad Wiwa se organizó y trabajó con el  Colectivo de Abogados José Alvear Restrepo para exigirle al Estado colombiano, ante la Comisión Interamericana de Derechos Humanos, la creación e implementación de medidas cautelares que tuvieran como objetivo la protección, asistencia humanitaria e inclusión de la comunidad indígena Wiwa desplazada y en riesgo dentro de la toma de decisiones. Recientemente, el desarrollo de megaproyectos dentro de su territorio, como la construcción de la represa El Cercado sobre el río Ranchería y el Distrito de Riego, ha generado el descontento del pueblo Wiwa, principalmente, por el desequilibrio territorial causado por intereses económicos de las industrias y por el incremento de la presencia de actores armados ilegales en la zona.

  1. Aspectos generales

Se localizan en el municipio de San Ángel, en las llanuras centrales de los Departamentos de Magdalena y Cesar. La población Chimila estaba conformada por 910 personas, de las cuales 908 se encontraban en el área rural y tan sólo 2 en el área urbana del municipio de Sabanas de San Ángel en el Magdalena. Por conflictos internos y la presencia de actores armados ilegales, un grupo de esta etnia debió migrar a Santa Marta. [1]

  1. Historia

Hasta antes de la colonización por parte de la Corona Española, el pueblo Chimila estaba distribuido en una vasta porción de la región Caribe, en territorios que en la actualidad se conocen como parte de los departamentos de Cesar, Magdalena y Bolívar. “A la llegada de los españoles, el pueblo Chimila ocupaba grandes extensiones (…) Hoy en día, la etnia se encuentra prácticamente reducida a un territorio marginal”.[2] En cuanto a la organización política, en el pasado, la autoridad en los diversos grupos locales estaba representada por el cacique, que a su vez tenía la función de sacerdote (o chamán) en ocasiones determinadas.

  1. Riesgos de Protección

El resguardo Chimila y sus dos más importantes asentamientos se encuentran ubicados en una región con fuerte presencia de los grupos armados ilegales, relacionada con el control de las vías principales y corredores estratégicos de la región del Ariguaní. A finales del 2007, 417 personas fueron desplazadas por amenazas. Uno de los aspectos que llama la atención sobre los Chimila es la poca información que existe sobre su distribución en el territorio.[3]

  1. Fortalezas

Aunque la falta de un territorio común fue una de las condiciones que llevó a los Chimila al borde de la extinción, el establecimiento de un resguardo les ha permitido reconstruir aspectos de su identidad como su lengua, la medicina tradicional, su comprensión de mundo, su cultura y la reconstrucción de sus relaciones familiares

  1. Aspectos generales

El pueblo Wayúu está compuesto por 270.413 personas que se reconocen como tal, siendo el 48,88% hombres (132.180) y el 51,12% mujeres (138.233). Habitan en el departamento de la Guajira -alta, media y baja – (98,03% de la población total), Cesar (0,48%) y Magdalena (0,42%), especialmente en los municipios de Barrancas, Distracción, Fonseca, Maicao, Uribia, Manaure y Riohacha. Del mismo modo, la comunidad indígena Wayúu se encuentra en el estado de Zulia en Venezuela. Es la étnia indígena más numerosa en la Guajira (48% de la población). La base de la economía Wayúu se basa en la pesca artesanal y el pastoreo, mezclándolo con la cría de ganado vacuno y caprino y la horticultura de maíz, fríjol, yuca, auyama, pepinos, melones y patilla, y la caza e intercambio de chivos, actividad que tiene un significado cultural arraigado.

  1. Historia

Previo al contacto con los españoles, los Wayúu se organizaban en clanes (hecho que se mantiene de distintas formas actualmente), tenían altos grados de nomadismo y como base de su economía tenían la pesca y la caza. No obstante, al implantarse los procesos de colonización, el pueblo indígena adoptó el pastoreo y se asentaba por largos periodos en un solo lugar. Con el tiempo, incluyeron el comercio como modo de obtener bienes y forma de relación con otras culturas. Ello, sumado a las luchas de poder territorial, trajo como consecuencia que se quebrantara el pueblo. A pesar de las misiones católicas presentes en el territorio, la cultura Wayúu se pudo mantener fuerte a lo largo de los años y es una de las culturas más fuertes actualmente en el territorio colombiano.

  1. Riesgos de protección

La coyuntura actual del pueblo Wayúu se caracteriza por la escasez de agua (generando enfermedades e infecciones), la explotación de sus recursos naturales desde la década de los 80, dada por la explotación petrolera, las minas de carbón del Cerrejón y el puerto marítimo de la Alta Guajira. Ello genera dependencia laboral hacia estas actividades. Del mismo modo, la lucha por el control territorial con actores armados ilegales diversos ha manchado la historia de la comunidad Wayúu con la violencia propia del conflicto. Han sido víctimas de masacres, desplazamiento forzado, torturas, amenazas, desapariciones forzosas, señalamientos, homicidios selectivos y múltiples y destrucción de bienes. Entre 2003 y 2008 fueron asesinados 37 miembros de la comunidad Wayúu, especialmente en Maicao, Uribia y Riohacha. En la masacre de Bahía Portete en el 2004 fueron asesinadas 4 personas y desaparecidas 12, mayoritariamente mujeres líderes comunitarias. Eso provocó que los Wayúu se tuvieran que desplazar hacia otras partes del departamento guajiro y a Venezuela. Posteriormente, fueron atacadas algunas mujeres sobrevivientes de la masacre y otros indígenas más del pueblo Wayúu.

  1. Fortalezas

Ante la gravedad de los ataques contra la comunidad Wayúu, lideresas de la comunidad pidieron ante el CIDH la intervención en la situación, por lo cual la Corte instó al gobierno colombiano la adopción de medidas cautelares que garanticen la justicia, la vida e integridad física de las mujeres peticionarias. Consecuentemente, el grupo peticionario se ha ido agrandando para cobijar a más víctimas del conflicto armado que hacen parte del pueblo Wayúu. Grandes reclamos ha hecho esta comunidad ante la sociedad, haciendo escuchar sus voces de modo pacífico en eventos relacionados con su situación (por ejemplo, el lanzamiento del informe del Grupo de Memoria Histórica de la CNRR sobre la masacre de Bahía Portete)

  1. Aspectos generales

Su población se estima en 24825 individuos. Se encuentran dispersos en varios departamentos del país. La mayor concentración de población de este pueblo indígena, la encontramos en el municipio de Solano – Caquetá con un total de 534 indígenas, seguido del municipio de Turbará – Atlantico con un total de 5797 personas. La principal actividad productiva del pueblo Mokaná se concentra en la horticultura, la que combina con la crianza de animales domésticos. Se cultiva plátano, yuca, fríjol, ñame, cacao, malanga, entre otros. Es frecuente que el indígena se emplee como asalariado en fincas.

  1. Historia

Pedro de Heredia dio las primeras referencias sobre este grupo a principios del siglo XVI, describiéndolos como agricultores y pescadores. Algunos estudios etnográficos clásicos situaban su origen en el grupo Caribe habitante de las regiones venezolanas de Maracapana y Caracas. A finales del año 2001 el gobernador del grupo y otras autoridades del cabildo emprendieron un viaje a los archivos históricos de España, con el fin de encontrar los documentos que les permitan recuperar las tierras de los antiguos resguardos que ocupaban. Históricamente, se tienen noticias de la existencia del Resguardo de Tubará, cuyo título colonial data del 3 de febrero de 1886. El resguardo fue declarado extinguido el 31 de diciembre del mismo año. Los mokaná habitan actualmente en jurisdicción del municipio de Tubará, departamento del Atlántico. Se dividen en 16 comunidades cada una con un cabildo gobernador. Dentro de su organización política además del cabildo, las decisiones de la comunidad se toman en el Consejo de Ancianos conformado por 200 miembros.

  1. Riesgos de proteción y Fortalezas

Cultura usos y costumbres, sitios sagrados, cosmovisión, tradición: Desafortunadamente, el pueblo Mokaná experimentó un fuerte proceso de aculturación que los llevó casi a la desaparición. Ese proceso hizo que sus principales elementos culturales se pedieran. En la actualidad algunos pobladores luchan por tratar de recuperar algunas de las tradiciones y concepciones del mundo, en un proceso que busca que la comunidad vuelva a tener un sentido indígena. Presenta una estructura que ha incorporado los elementos tradicionales de la casa occidental. Desde esa perspectiva, la vivienda presenta una forma de escuadra, con cuartos y cocinas completamente independientes y paredes en material. El pueblo Mokaná hace parte de un proceso de reorganización de comunidades que se consideraban extintas. Se ubican en la zona rural del municipio de Tubará, departamento del Atlántico.

  1. Aspectos generales

El pueblo Inga está compuesto por 15,450 indígenas, entre ellos 7,725 son hombres y 7,725 son mujeres. La mayoría de ellos, el 62,4%, habita en el departamento de Putumayo, especialmente en el Valle del Sibundoy, a 2,200 metros sobre el nivel del mar. Sin embargo, pueden encontrarse miembros de la comunidad Inga en Nariño (16,6%), en el Cauca (4,4%), y en zonas urbanas de Bogotá y Cali. Esta etnia tiene un espíritu comerciante y una tradición viajera, actividad que se ha potenciado gracias a los avances tecnológicos. Son reconocidos principalmente por su habilidad para las artesanías, sus conocimientos chamánicos, poderes curativos y alto nomadismo.

  1. Historia

La comunidad indígena Inga proviene del imperio Inca, pueblo que tenía como función la avanzada militar y resguardo de las fronteras con el fin de impedir la sublevación de las comunidades ya sometidas al imperio. Así, luego de someter a los Camsá y evitar la resistencia de los indígenas Kwaiker de Nariño, llegan al Valle de Sibundoy donde permanecen aislados de los demás pueblos quechua hasta la segunda mitad del Siglo XIX. En la época de la colonia (1538) se desplazaron a los departamentos de Nariño y Caquetá, donde fue impactada su cultura debido a las misiones capuchinas. Durante los años 30, la guerra contra Perú y la colonización militar permitieron que el pueblo Inga migrara hacia zonas urbanas y que aproximadamente mil indígenas del Alto Putumayo se encaminaran hacia pueblos vecinos. En la década de los 90, iniciaron un proceso de organización para conseguir territorios para sus resguardos, defender la tierra de conflictos e invasiones, e impulsaron iniciativas de etnoeducación y producción agrícola. Es un pueblo que ha desarrollado procesos de interculturalidad con otras comunidades indígenas, y, a pesar de su espíritu viajero, mantienen un vínculo afectivo fuerte con su lugar de origen. Tal nomadismo les ha permitido a los indígenas Inga tener un conocimiento amplio de las plantas y su uso para la medicina tradicional. Por ello, se les atribuye el uso de la planta yagé, utilizada para rituales espirituales y curaciones de diversas enfermedades.

  1. Riesgos de Protección

El pueblo Inga está enfrentado a diversas presiones por los derechosterritoriales,tantopor la propiedad comopor su explotación. Del mismo modo, la presencia de grupos armados al margen de la ley y la consolidación y expansión de cultivos ilícitos ha puesto a los indígenas, especialmente a la población joven, en alta vulnerabilidad. Entre los años 2000 y 2008, el pueblo Inga fue víctima de 16 homicidios, 7 de ellos en Putumayo. La mayoría de los ataques contra la comunidad Inga están enfocados a líderes comunitarios; por ejemplo, en el 2004 fue asesinada la gobernadora de la comunidad de Alpamanga, municipio de Puerto Guzmán, principal opositora a los grupos armados ilegales. El Valle de Sibundoy es, para los grupos armados ilegales, una localización estratégica que permite la movilidad entre el Ecuador, la Orinoquía, el Macizo colombiano y el Pacífico caucano y nariñense. De esta forma, se manifiesta la violencia contra el pueblo Inga, produciendo entre el 2001 y 2003 el registro de desplazamiento más grande de Ingas con 800 indígenas desarraigados en los primeros meses de 2001 hacia zonas urbanas como Bogotá.

  1. Fortalezas

Gracias el proceso organizativo del pueblo, los Inga han podido incidir política y socialmente en la región y las zonas urbanas donde se están asentados. Su tradición comerciante y viajera les ha permitido tener un reconocimiento y visibilidad cultural, especialmente por su producción artesanal, como pinturas, y de medicinas tradicionales, por ejemplo la circulación del yagé en zonas no indígenas.

  1. Aspectos generales

La población estimada alcanza las 233.052 personas auto-reconocidas como pertenecientes al pueblo Zenú, de las cuales el 51,6% son hombres (120.181 personas) y el 48,4% mujeres (112.871 personas). Este pueblo se localiza en los resguardos de San Andrés de Sotavento (departamento de Córdoba) y en el Volado (en el Urabá Antioqueño). Hay numerosos asentamientos y parcialidades en los departamentos de Córdoba, Sucre, Antioquia y Bolívar. La población Zenú que habita en zonas urbanas corresponde al 34,1% (79.402 personas).

2. Historia

La cultura Senú se destacaba por su excelente manejo de la ingeniería hidráulica, como lo evidencia un sistema eficiente de canales que por casi dos mil años llegó a cubrir 600.000 hectáreas. Su extensa red de canales artificiales en las zonas inundables de los Ríos San Jorge, Sinú, Cauca y Magdalena, permitió controlar el régimen de inundaciones.. A partir del siglo XIX, la dinámica económica y social de la zona se caracterizó por la llegada de las misiones, el surgimiento de grandes haciendas ganaderas y sucesivas explotaciones de recursos en el territorio indígena. [2]

3. Riesgos de protección

La principal problemática considerada por el pueblo Zenú es la pérdida de su lengua. Por otro lado, el hacinamiento territorial, consecuencia del despojo de tierras causado por años, no les permite el desempeño adecuado de la agricultura propia, como también otras actividades culturales. Según las estadísticas reportadas por la Agencia Presidencial para la Acción Social, durante el periodo 2003-2008 se desplazaron en la región de los Zenú 35.772 personas. En un ejercicio de una comparación departamental, la situación en materia de desplazamiento forzado de los indígenas Zenú ubicados en los municipios del departamento de Córdoba es crítica.

En efecto, los municipios que hacen parte de la región de los Zenú en el departamento de Córdoba concentraron el 45% (18.469) del total de personas desplazadas en ese departamento durante el periodo 2003-2008 (41.277). En los municipios sucreños de la región de los Zenú se desplazaron por expulsión 8.495 personas, lo que representa el 23% del total departamental en el mismo período (36.488).[3]

4. Fortalezas

La organización interna del pueblo Zenú es la base para la incidencia y visibilización de su situación, pues su sistema tradicional constituye uno de los mejores mecanismos de participación en los escenarios regionales y nacionales, ya que el ejercicio aplicativo de la justicia configura un aspecto relevante de este pueblo frente al resto de sociedad. Las apuestas inmediatas que se evidencian en la agenda programática del pueblo Zenú están relacionadas con la recuperación de territorio, el establecimiento de cultivos propios, el ejercicio tradicional de caza y pesca, y la ejecución de proyectos autosostenibles que garanticen la inserción de las personas en las labores típicas, para así mejorar las condiciones alimenticias.

  1. Aspectos generales

29.094 personas se autoreconocen como Emberá Chamí: 50,2% son hombres (14.609) y 49,8% mujeres (14.485). Esta comunidad se encuentra asentada en los departamentos de Risaralda- cercanías del alto río San Juan en los municipios de Mistrató y Pueblo Rico- (55,1% -16.023 personas); Caldas (24,8% -7.209 personas) y Antioquia- Resguardo indígena de Cristinía- (7,3% -2.111 personas). Otras personas están localizadas en los asentamientos en Quindío, Valle del Cauca, en el curso de los ríos Sanquinini y Garrapatas, específicamente en los municipios de Dovio y Bolívar, y en Caquetá. Su economía se basa principalmente en la agricultura, la caza y la pesca.

  1. Historia

El pueblo Emberá (que era en la época prehispánica una sola comunidad) fue fraccionado debido a los procesos de la conquista y colonia, dinámicas comprendidas por misiones evangélicas y reclamos de tierra, haciendo que las comunidades se dispersaran en disímiles territorios con distintos modos de desarrollo. Ello implicó diferentes modos de relacionarse con la tierra y con las poblaciones donde se albergaron. A pesar de ello, mantienen unidad culturalmente, conservando elementos étnicos como el idioma, el jaibanismo, la tradición oral, la organización social y la política de modo regional.

  1. Riesgos de protección

Actualmente, el pueblo Emberá-Chamí se encuentra flagelado por el conflicto armado del país. Existe presencia de grupos armados ilegales en los departamentos donde residen, lo que ha generado desplazamiento forzado, altas tasas de homicidios, masacres, amenazas y combates en su territorio. Entre los años 2003 (año en el que el grupo indígena Emberá- Chamí se organizó políticamente y ganaron elecciones para la alcaldía en Riosucio) y 2008, vivieron algo más de 780 homicidios, especialmente en Mistrató (donde fueron reportados 185 homicidios solamente en el 2003) y en el municipio de Riosucio perpetrados por los grupos armados al margen de la ley que buscaban afianzar lealtades en el territorio. La concentración de homicidios en la zona se debe a que ésta es un corredor significativo que conecta al centro del país con la cuenca del Pacífico y el suroccidente colombiano con Antioquia, por la vía Panamericana, lo que lo convierte en un territorio estratégico para el tráfico de armas y estupefacientes. Del mismo modo, fueron víctimas de 47 secuestros en los municipios de Supía y Riosucio, Caldas, y en Quinchía, Risaralda. Por esto, 1,707 indígenas se desplazaron forzadamente. Por otro lado, el contacto con la cultura occidental ha ocasionado la opresión de su pensamiento, homogenizando su cultura y menoscabando su conocimiento, costumbres, dinámicas y usos de la naturaleza. De esta forma, se hace notoria la migración colectiva o individual a las cabeceras municipales y capitales del país (Cali, Medellín y Bogotá) que trae como consecuencia la mendicidad y la incursión en labores distintas a su cultura Emberá.

  1. Fortalezas

Por las denuncias y reclamos de la comunidad Emberá- Chamí relacionados con la protección y garantía de sus derechos, desde el 2002 la CIDH ha instado medidas cautelares a favor de miembros del grupo indígena.